XV anniversario della morte di Mons. Cesare Bonicelli

Ricordiamo don Cesare mercoledì 6 marzo in chiesina durante la Celebrazione Eucaristica delle h. 9

 

Come diceva don Cesare

E’ molto difficile scrivere qualche parola su Silvio Cesare Bonicelli, vescovo di Sansevero e di Parma, ma per sempre “don Cesare”, amatissimo parroco di Santa Lucia.

Raccontare storie della sua vita qui, per i lettori che l’hanno conosciuto, è pleonastico, raccontarlo per chi non l’ha conosciuto ha il rischio di “fare un santino” e trasmettere poco o nulla di lui.

Riprenderò solo qualche episodio di quegli anni felici, quando i miei figli erano piccoli e adolescenti, sperando che da queste poche parole qualcuno ricordi e qualcuno intraveda chi è stato “don Cesare”.

Premetto che quando don Cesare arrivò a Santa Lucia, accompagnato da don Agostino e da don Giacomo, io avevo molto bisogno di quella che, alle cene in casa mia, si annunciava al citofono come “la trinità”. Arrivare da Bologna, dove bazzicavo il gruppo intorno a Giuseppe Dossetti e i preti del cardinal Lercaro, in una città dove molto mi sembrava rimasto agli anni Cinquanta, era stato faticoso.

Conoscevo don Cesare alla lontana, attraverso amici comuni e degli scout ed ero curiosa delle dicerie che attraversavano la città, spettegolando sul fatto che, da uomo potente della Chiesa bergamasca che “teneva ambo le chiavi del cor di Federigo”, con il cambio del vescovo, fosse stato retrocesso a “semplice” parroco.

Il nuovo parroco e i suoi eccezionali collaboratori, ribaltarono completamente la mia vita e quella del santaluciensi.

Le male lingue dicevano che stava applicando alla parrocchia tutte le innovazioni e i cambiamenti che si teorizzavano su “Orientamenti pastorali” e si dibattevano al C.O.P.

 

Don Giacomo e don Agostino dicevano che ogni mattina temevano l’annuncio di qualche altra novità, pensata da lui durante la notte.

Mamme giovani catechiste nelle proprie case, gruppi biblici, catechesi serali molto avanzate, celebrazioni penitenziali comunitarie con assoluzione collettiva, uso della chiesa per conferenze e spettacoli, scout e nuova pastorale per gli adolescenti…

Io mi sentivo di nuovo a casa, molti no.

Cito solo la famosa critica secondo la quale a Santa Lucia si leggeva più il “Piccolo principe” che il Vangelo. Ovviamente non era vero.

Don Cesare con quel suo sorriso da “sole di Austerlitz”, con quello sguardo severo, capace di addolcirsi improvvisamente, era seducente. Nel senso di “sé ducere”, condurre a sé, cioè a Dio.

I ragazzini lo temevano e alcuni curati che arrivarono in seguito, anche.

Ricordo una messa fatta per la festa degli Angeli Custodi, a cui aveva invitato mamme e bimbi sotto i tre anni (la sua preoccupazione era offrire un’occasione, un incontro a chiunque a qualsiasi età).

Venne consegnata una piccola pietra per ogni bimbo, la mamma doveva scrivere il nome con il pennarello e all’offertorio ognuno portava la pietra all’altare.

I bimbi più grandini e meno sorvegliati cominciarono a girare per il tempio con l’intento di divertirsi a… tirarsi i sassi insomma. Don Cesare rabbuiato, sgridò parecchio e fece una bella ramanzina/ catechesi alle mamme.

Peggio ancora fu una celebrazione penitenziale. I ragazzi dovevano scrivere disobbedienze o cattiverie commesse su un foglietto, da gettare poi un braciere (troppo grande e con fuoco vivace) posto davanti all’altare.

Improvvisamente forse eccitati dal fuoco, dalla curiosità e dalla musica, i bambini cominciarono a girare velocemente intorno al fuoco, come folletti impazziti, senza rispettare le file e le indicazioni delle catechiste.

-Adesso basta!- tuonò don Cesare. Come per incanto, tutti al loro posto, braciere sparito in un amen e orecchie basse delle catechiste e dei curati.

Queste cose le racconto perché facevano da contrasto alla sua tenerezza, alla sua fede e alla sua bontà.

Quando morirono i suoi due fratelli, seguiti a breve da suo nipote Agostino, era molto provato e noi con lui. Alla messa in loro ricordo iniziò l’omelia ringraziando i fedeli per la grande partecipazione e poi disse: – io, Dio; mi fido di te-.

Aveva una terribile perpetua che sia al telefono che alla porta, per proteggerlo, rispondeva sempre sgarbatamente: –non c’è! – e attaccava con il ritornello di come fosse occupato, di come tutti lo disturbassero per delle sciocchezze e non si rendessero conto…

Spesso, molto spesso, compariva lui dietro la Rina, o alzava la cornetta dallo studio e con un atteggiamento di scusa e di comprensione, per la Rina appunto, era poi sempre disponibile quando c’era bisogno di lui. Per stanco e occupato che fosse.

Era tanto occupato perché ad una intelligenza, profondità e spiritualità davvero rare aggiungeva una grande cultura e il bisogno continuo di coltivarla.

-Il sapere è una grazia in più- diceva sempre alle sue bellissime catechesi e girava con una agenda dove scriveva i suoi discorsi con una calligrafia minuscola e difficilissima.

– Devo scrivere tutto- diceva- anche se devo dirvi “ciao”, lo devo scrivere-.

Non so quante persone in comunità avrebbero dato chissà che cosa per poter avere le sue lezioni e le sue omelie. Un paio di nipoti avevano promesso di metterci mano per pubblicarle, forse ora che la dolcissima e arguta Angiolamaria, la sua sorella angelo custode, lo ha raggiunto, forse ora verranno divulgati.

Il vescovo Cesare ha certamente amato molto i suoi abitanti di Parma e anche quelli di San Severo (anche se dei preti di laggiù diceva: –non mi ubbidisce nessuno!), ma voglio credere che noi di Santa Lucia siamo stati le sue prime pecorelle, e come si dice, “il primo amore non si scorda mai”.

Quando voleva fare il massimo dei complimenti, diceva sempre con un’enfasi particolare, che era soltanto sua: “fantastico” o “fantastica”.

Bene, se andate a leggere il suo testamento spirituale, quando ringrazia il Padre per tutto ciò che gli ha dato nella sua vita, dice testualmente: “attraverso monsignor Giulio Oggioni mi hai affidato il popolo tanto amato e “fantastico” della parrocchia di Santa Lucia in Bergamo”.

Popolo FANTASTICO.  Siamo noi.

 

Carlotta Testoni